Com’è cimposo Banchogi!

Per questo secondo appuntamento della mia rubrica dedicata ai libri che amo scovare fra i tesori custoditi nella Biblioteca dei ragazzi di Trento vi presento due libri che mi piace paragonare a due colorati e bellissimi scrigni in cui ho scoperto pensieri, parole e immagini molto preziosi.
Il primo è lo strepitoso CIMPA la parola misteriosa di Catarina Sobral, ed. la Nuova frontiera junior (titolo dell’opera originale portoghese Achimpa, traduzione di Marta Silvetti ). Codice: B SOB 1.
A dirla tutta questo libro non l’ho scovato: era esposto in bella mostra fra i libri segnalati dalle bravissime bibliotecarie e il suo titolo, nonché la sua copertina – che ritrae proprio l’interno di una biblioteca – mi hanno subito attratta.
Quando l’ho aperto sono stata travolta dalle bellissime illustrazioni della nostra Catarina e man mano che giravo le pagine e leggevo sorridevo, pervasa da un entusiasmo crescente! Da un lato immaginavo mio figlio – ultimo anno di scuola dell’infanzia - sbellicarsi dalle risate quando mi avrebbe udita pronunciare la parola misteriosa e tutte le sue declinazioni: Cimpa. Cimpare. Che cosa cimpissima! …è un po’cimposo! …cimpamente! Dall’altro pensavo agli amichetti di mio figlio che sono già in Prima elementare e a quanto sarebbero coinvolti da un libro che spiega loro le basi della grammatica in modo così divertente ed efficace! Efficace, si! Perché come fanno a dimenticare che gli avverbi si compongono aggiungendo il suffisso “-mente” all’aggettivo dopo aver riso con “cimpamente”? E la stessa cosa dicasi per nome, aggettivo, verbo e preposizioni.
Dunque il libro si presta a essere usato a più livelli: puramente ludico, come ho fatto io con mio figlio che ancora non sa cosa sia la grammatica, o didattico se stimoliamo i bambini a sostituire di volta in volta “cimpa” e le sue declinazioni con nomi, aggettivi, ecc.
Ma le meravigliose potenzialità di questo albo illustrato non finiscono qui. La storia offre anche l’occasione di parlare delle mode, linguistiche e non, poiché appena riscoperta la parola CIMPA tutti, ma proprio tutti, vogliono usarla! Ad un certo punto, quando si ritiene che si tratti in realtà di un nome «[…] ci fu chi sosteneva di aver visto una cimpa in carne ed ossa. […] La gente cominciò a telefonare ai negozi, ai supermercati e alle agenzie di viaggio. Chi voleva una cimpa per decorare il tavolo da pranzo, chi voleva andarsene all’estero: ‘Che razza di paese è mai questo dove non si trovano cimpe?’».
E poi ci sono i disegni, davvero belli. In particolare quello che mi ha conquistata è il disegno delle vetrine delle librerie più famose del mondo, fra cui quella a me più cara ovvero la SHAKESPEARE AND COMPANY di Parigi, che è la libreria più affascinante che io abbia mai visto.
Ciliegina sulla torta: Cimpa è anche stato votato, nel 2013, come miglior libro per bambini dalla Società degli Autori Portoghesi.
Non state più nella pelle? Allora correte cimposamente in Biblioteca! Ma prima potete avere un assaggio del libro sfogliandone qualche pagina qui e guardandone la video anteprima – un’alternativa italiana a “book trailer” c’è! Yuhuuu! - qui di seguito:
Bello, vero? E se anche voi, come è successo a me, vi state chiedendo se esista un museo delle parole dimenticate, vi informo che esiste! Per saperne di più cliccate qui.
Pare che il Trentino non abbia ancora dato il suo contributo alla lista delle parole abbandonate, magari potete pensarci voi… Sarebbe davvero cimpissimo da parte vostra!
Anche il secondo libro di cui vi voglio parlare non è giunto a me grazie alle mie peregrinazioni fra gli scaffali della biblioteca, né grazie all’abilità e alla disponibilità delle bibliotecarie. Questo libro l’ha scovato mio figlio. Ammetto di non sapere come e dove esattamente perché me l’ha portato mentre ero intenta a selezionare i libri per Halloween.
Si tratta di BANCHOGI solo metà di So Jung Ae e Han Byung Ho , ed. zoo libri (titolo originale dell’opera coreana Half a loaf Hally, traduzione di Son Jung Sook con adattamento di Milena Bozzarri).
Mio figlio ne è stato colpito perché in copertina è ritratta una possente tigre sollevata da un ragazzo che ha una sola gamba, un solo braccio e un solo occhio. Ecco, l’unico occhio ha ricordato a mio figlio la storia di Ulisse e del ciclope Polifemo, che ha sentito raccontare in famiglia perché era una delle storie con cui mio nonno materno amava intrattenere noi nipotini.
In realtà il ragazzo in copertina è Banchogi, non una creatura mitica, sebbene lui sia in effetti un personaggio mitico - nel senso di straordinario, carismatico, eccezionale e anche nel senso di mito come storia appartenente alla tradizione di un popolo. Infatti questo libro altro non è che la trasposizione di una storia tradizionale coreana.
Qui si narra di una coppia di anziani senza figli che, grazie all’intervento di Buddha, riesce finalmente ad avere tre gemelli: «Due dei neonati sembravano normali, mentre il terzo era solo metà […] I tre bambini crebbero forti e sani. I genitori erano molto fieri dei loro figli: i due maggiori erano molto intelligenti e studiosi, mentre Banchogi era onesto e forte». La forza è il carattere saliente di Banchogi. Viene rappresentata come forza fisica, ma in realtà si tratta di forza d’animo, forza interiore.
Lo vediamo quando i due fratelli decidono di andare in città per studiare e prendere il diploma e intimano a Banchogi di non seguirli, come lui avrebbe voluto fare, perché «Temevano che la gente si sarebbe presa gioco di loro per via del fratello». Banchogi però li segue lo stesso e a questo punto i fratelli lo legano ad un enorme masso per impedirgli di andare insieme a loro. Il giovane usa appena la sua forza e riesce a sollevare il masso e a tornare a casa dai genitori che gli chiedono cosa ci faccia con quel masso legato alla schiena. «Quando i miei fratelli saranno promossi all’esame lo userò come mortaio per macinare la farina che servirà per preparare una torta». Banchogi è saggio, mostra di non conoscere la legge del taglione ma, al contrario, di possedere un atteggiamento buddico verso la vita, che gli permette di trasformare il dolore – il masso a cui era stato legato - in qualcosa di buono – il mortaio per macinare la farina. Insomma, opera la magia della bontà all’interno di un’esperienza di vita negativa, come solo il vero saggio sa fare. A questo punto posa il masso e riparte verso la città per raggiungere i suoi fratelli.
Il nostro mitico eroe dovrà affrontare ancora due volte la viltà e l’egoismo dei suoi fratelli, ma ne uscirà sempre vincitore grazie alla sua forza che gli permetterà di proseguire il cammino verso la città. La strada, però, è disseminata di ostacoli e Banchogi si imbatte nella casa di un ricco signore a cui chiede ospitalità per la notte. L’ospite propone a Banchogi una partita a scacchi mettendo in palio sua figlia, che avrebbe dato in sposa al giovane nel caso in cui lui avesse vinto. «Il padrone di casa pensava che Banchogi fosse stupido e credeva di avere già la vittoria in tasca. Ma si sbagliava di grosso. Banchogi giocava a scacchi molto molto bene». Ecco. Il nostro giovane valoroso e saggio con una sola gamba, un solo braccio e un solo occhio si trova a doversi scontrare anche con l’ignoranza di chi crede che non corrispondere agli standard di “normalità” equivalga a un certificato di basso quoziente intellettivo.
Naturalmente Banchogi vince, ben tre volte. Il padrone di casa però non ci sta e non vuole dargli in sposa sua figlia, come promesso: «Come si permette qualcuno che sembra un mezzo pesce di chiedermi mia figlia!». L’aver allontanato Banchogi però non lo rassicura del tutto, perché ormai il ricco signore conosce l’intelligenza del giovane, perciò mette dei servi di guardia per non rischiare di vedersi rapire la figlia sotto il naso dall’abile ragazzo che è “solo metà”.
Con una serie di astuti stratagemmi Banchogi riesce però a rapire la figlia del padrone di casa e corre via. Giunto in luogo sicuro le chiede di sposarlo: «Impressionata dal suo coraggio e dalla sua astuzia, la ragazza annuì. Così i due giovani si sposarono, ebbero tanti figli e figlie e vissero sempre felici e contenti».
Il racconto si conclude con una frase che mi ha molto toccata: «Anche le scarpe fatte di paglia sono formate da una coppia».
Non voglio aggiungere altro, ma lasciare che ognuno di voi interpreti questa massima a modo suo, leggendoci il significato o i significati che più si avvicinano al suo sentire.
Banchogi è un racconto ricco di saggezza e umanità – in tutti i sensi del termine – e potrebbe essere un dono prezioso da fare a un(a) bambino/a “mitico/a” come il giovane e valoroso protagonista di questa storia o ad una classe che abbia la fortuna di avere al suo interno un(a) bambino/a straordinario/a come Banchogi, ma anche ad ogni persona a cui si voglia raccontare una storia che parla di un essere umano diverso da molti altri, affiché possa vedere e accogliere questa diversità, senza termerla come hanno fatto i fratelli di Banchogi.
Potete cercare questa bella storia nella nostra Biblioteca ragazzi e/o acquistare il libro, i cui proventi vengono devoluti a FAIP, associazione che si occupa della tutela e dei diritti fondamentali del cittadino para-tetraplegico alla salute, all’istruzione, al lavoro e a una vita autodeterminata.
Concludo proponendovi l’ascolto di una canzone che mi è venuta in mente mentre leggevo Banchogi, perché per me è una sorta di inno di saluto alle persone diversamente abili - una definizione, questa, che mi piace perché pone l’accento sulla capacità piuttosto che sulla mancanza, effettiva o presunta, di qualcosa. Il brano in questione è Pinball Wizard degli Who, che racconta di un ragazzo non vedente e audioleso, Tommy, che è così bravo a giocare a flipper da riuscire a battere , grazie alle sue incredibili doti innate, quello che fino a quel momento era stato il campione indiscusso. Tommy non ha il dono della vista né quello dell’udito, ma sente a suo modo e questa sua sensibilità gli vale il titolo di campione.
La versione che ho scelto è quella cantata dal grande Elton John.
Buon ascolto e buona lettura a tutti!
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In quanto traduttrice ho deciso che da ora in poi citerò sempre i nomi dei miei colleghi traduttori, che più sono bravi e più scompaiono dietro il testo da loro tradotto, riuscendo a far udire la voce dell’autore anche in una lingua che l’autore non padroneggia. Un bravo traduttore è invisibile, ma c’è e merita tutta la nostra gratitudine per averci permesso di godere pienamente di un testo che altrimenti non avremmo potuto comprendere. Ci avevate mai pensato? Ecco, io a Marta dico grazie nella sua lingua di lavoro: Muita obrigada!
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